Sono sempre critici, discussi e ancora irrisolti i temi della libertà di scelta terapeutica, di diritto alla vita ma anche a come si vuole spendere la propria esistenza, in quali condizioni di salute o malattia e fino a che punto, quindi di diritto a una morte degna, dignitosa, rispettata e accolta, senza le costrizioni di un accanimento terapeutico, e infine l’eutanasia. Tutti temi strettamente allacciati tra loro e di emergente attualità, sui quali solo l’interessato dovrebbe poter decidere.
Eppure, legislazione, religione, etica, politica e persino economia vogliono metterci il becco e normare le decisioni.
Ricordo ancora molto bene il giorno in cui fu staccata la spina a Piergiorgio Welby, il 20 dicembre 2006. La spina di cosa?… Di un macchinario che lo costringeva a una vita per forza, non voluta, ulteriormente estenuante sommata alla malattia già tremendamente grave e invalidante.
Occhio alle parole: costringeva per forza…. alla vita, cioè a un’esistenza purché sia, non vissuta, non goduta, null’altro che vegetativa e sofferta. CHI può decidere tutto questo?
Allora lavoravo per un’azienda ed eravamo tutti in riunione in un hotel di montagna per qualche giorno. Eravamo ancora a colazione prima delle sessioni di lavoro e uno degli ospiti esterni che avrebbero partecipato alla nostra riunione aziendale era nella sala delle colazioni con il suo quotidiano aperto: “Oggi è stato commesso un omicidio…” sentenziò scuotendo la testa. Tutti sapevamo a cosa si riferisse ma, alla fine della conseguente discussione, non siamo riusciti a distoglierlo dall’assioma tassativo “La vita è un dono di Dio e nessuno può toglierla.”.
Sì, ma neppure protrarla quando Dio l’avrebbe voluta interrompere, se non fosse stato per quella maledetta spina.
Persino l’accusa del PM, contro il Medico che assisteva il paziente e che aveva ascoltato la sua richiesta di fermare quell’accanimento terapeutico, aveva un sapore strano, con retrogusto amaro: “omicidio del consenziente”. Sembrava uno di quei thriller in cui due si mettono d’accordo per far incassare l’uno l’assicurazione sulla propria vita all’altro. Ma non era questo il caso.
Quando il Gup incaricato ebbe anche ascoltato la moglie di Welby che descriveva per filo e per segno l’iter della malattia di suo marito e l’attuale quotidianità, prese la decisione dell’assoluzione del Medico Dr. Riccio. Per quarant’anni Welby aveva convissuto con la malattia e da nove viveva grazie a un respiratore artificiale. Alla fine di un lungo processo interiore è giunto alla decisione di interrompere una terapia che, liberamente, riteneva sproporzionata per quella che non riteneva più una vita dignitosa. Voleva semplicemente che fossero sospese le terapie e interrotto l’ausilio dei macchinari che non riteneva più sopportabili. CHI si arroga il diritto di discutere questa scelta?
L’Avvocato difensore al processo del Medico assolto dichiarò che la sentenza pronunciata “riconosce i diritti del malato tutelati dagli art. 13 e 32 della Costituzione che gli consentono di rifiutare le terapie o la prosecuzione delle terapie non più volute anche quando questa interruzione possa determinare la morte del malato stesso. Il paziente è l’unico titolare del diritto. Il Medico interviene per adempiere al suo dovere come riconosciuto dalla sentenza di oggi.”.
Scatta il tema dell’eutanasia, non ancora normato dalla legge, o di quelle che più eufemisticamente vengono chiamate cure di fine vita.
A quell’epoca era Ministro della Salute Livia Turco che pubblicamente si espresse sul tema dell’eutanasia, riconoscendo “il diritto di ogni cittadino all’autodeterminazione, anche quando questa porti alla morte. Ma solo se si ha la coscienza di aver fatto davvero tutto. Se poi, nonostante questa assistenza, la persona, come ha deciso Welby, vuole interrompere il trattamento, allora va rispettata la sua volontà. C’è una grande differenza tra l’eutanasia e il rispetto della volontà del malato, prevista dall’articolo 32 della nostra Costituzione. Dove si riconosce al paziente il diritto di esprimere il proprio parere sui trattamenti sanitari. Anche rifiutandoli. Una libertà che però non significa attivare un processo di interruzione della vita, come l’eutanasia.”.
Eppure, qualche mese dopo che il PM aveva chiesto l’archiviazione del caso non ravvisando alcuna ipotesi di reato nel caso Welby, il GIP affermò che il diritto alla vita è inviolabile, e limita anche il diritto a rifiutare le cure sancito dall’articolo 32 della Costituzione e adottato dagli articoli 35 e 53 del Codice Deontologico dell’Ordine dei Medici. Diritto o dovere? E chi ne dispone?…
C’era poi chi invocava una legge sul testamento biologico.
Ignazio Marino, allora Presidente della Commissione Sanità a Palazzo Madama, plaudeva la sentenza: “Con una legge sul testamento biologico si vuole permettere a ogni persona di poter dire oggi, in piena consapevolezza, quali cure e terapie ritiene accettabili per se stesso nel caso in cui un giorno diventasse incapace di intendere e di volere. Avendo così la garanzia che le sue volontà vengano rispettate.”.
Si espresse in proposito anche l’allora presidente dell’Aaroi (Associazione degli Anestesisti e Rianimatori Ospedalieri Italiani) alquanto dibattuto, in verità, su due posizioni opposte: “Non possiamo essere che soddisfatti per la conclusione della vicenda del collega Riccio, fermo restando che abbiamo criticato il suo comportamento più volte, perché noi non siamo i Medici che staccano la spina. Ma quelli che salvano le vite. Però il vero problema è politico. La legge sul testamento biologico è arenata in Commissione Igiene e sanità al Senato, dopo almeno 60 audizioni, compresa la nostra. […] Solo su un argomento sono tutti d’accordo, cioè sul NO all’accanimento terapeutico.”.
Ma quindi: era stata soltanto sospesa una terapia accanitamente protratta o qualcuno aveva interrotto la vita di un uomo?
Il Bollettino Aaroi, in quel periodo (dic. 2007), pubblicava anche un articolo che, a proposito della faccenda Welby e della proposta di legge sul testamento biologico, riprendeva le parole suicidio assistito, affermando che di questo si trattava: una scomoda verità che si vuole nascondere sotto falso nome, anche all’opinione dei Medici. Proclamava inoltre che “Ogni istante della vita è prezioso ed è stato consegnato solo a noi. Dobbiamo avere il coraggio di gestirlo sempre e comunque.”. Noi chi? …
Per fortuna, l’Ordine dei Medici di Cremona, cui apparteneva il Dr. Riccio, decise all’unanimità di non aprire un procedimento disciplinare nei suoi confronti dal momento che la richiesta di distacco del respiratore artificiale, da parte di Welby, costituiva la negazione del consenso ad un trattamento terapeutico da parte di un paziente capace di intendere e di volere e pienamente consapevole delle conseguenze che l’interruzione del trattamento avrebbe determinato. .
A un certo punto pareva persino che fosse tutta una questione di scaricare le responsabilità: da chi affermava che “serve chiarire cosa si può o non si può fare, non è compito dei Medici decidere” (Aaroi) a chi confessava che “prevale la ripugnanza istintiva a compiere un atto che conduce alla morte, o il timore di essere denunciati per un atto di eutanasia” chiedendo infine “che in parlamento si arrivi a una legge che ridia univocità alle interpretazioni dei magistrati, e auspicando che al più presto la morte di Piergiorgio Welby possa essere raccontata come una testimonianza coraggiosa, per la vita e per la sua qualità.” (Società Italiana di Neurologia, SIN) .
Già, la qualità dell’esistere. Gli alti fini cui si tende liberamente per spendere la propria esistenza, non la sola vita biologica e vegetativa. […] In modo che quello spirito dotato di ragione che risiede in noi possa usare liberamente questo strumento dell’organismo fisico, vivo e sano, per i più alti fini della nostra esistenza.
Secondo la sentenza del Giudice, il Dr. Riccio “ha agito alla presenza di un dovere giuridico che ne discrimina l’illiceità della condotta causativa della morte altrui e si può affermare che egli ha posto in essere tale condotta dopo aver verificato la presenza di tutte quelle condizioni che hanno legittimato l’esercizio del diritto da parte della vittima di sottrarsi ad un trattamento non voluto. La condotta di colui che rifiuta una terapia salvavita costituisce l’esercizio di un diritto soggettivo riconosciutogli in ottemperanza al divieto di trattamenti sanitari coatti sancito dalla Costituzione.”.
Una donna entra in uno studio medico e chiede al dottore di essere assistita: ha un tumore al seno, NON vuole fare le terapie convenzionali previste dai protocolli oncologici e, consapevole che questa scelta potrebbe portare anche alla morte, vuole che questa sua decisione sia rispettata e chiede un aiuto diverso. Dice che se il Medico non volesse rispettare questa sua volontà, lei se ne andrebbe da un altro o resterebbe senza cure.
Che cosa può fare in tal caso un Medico degno di questo nome, in ottemperanza alle normative vigenti?
1. DoctorNews – 24 luglio 2007 – Anno 5, Numero 133
2. DoctorNews – 25 luglio 2007 – Anno 5, Numero 134
3. DoctorNews – 24 luglio 2007 – Anno 5, Numero 133
5. DoctorNews – 9 luglio 2007 – Anno 5, Numero 122
6. DoctorNews – 9 luglio 2007 – Anno 5, Numero 122
7. Organon Dell’arte del guarire
8. DoctorNews – 19 ottobre 2007 – Anno 5, Numero 171