Ma gli androidi sognano pecore elettriche?
Il medico omeopata del futuro: intuizione vs. algoritmo. Uomo o androide?
Do Androids Dream of Electric Sheep? è Il libro ispiratore del film cult di fantascienza “Blade runner”. Il suo autore, Philip K. Dick, grande scrittore visionario, fu un anticipatore di molti decenni delle situazioni e dei pericoli a cui ci espone uno sviluppo tecnologico esasperato e disgiunto da una dimensione etico-spirituale che lo gestisca per i fini superiori dell’esistenza, direbbe il Maestro Hahnemann.
Il libro di Philip K. Dick, come il film di Ridley Scott, ci fa interrogare in modo straordinario sulle prospettive di una simbiosi sempre più stretta tra l’uomo e la tecnologia, sul valore trascendente della Vita, sul senso della morte e sul significato della libertà nel mondo moderno. Una potente riflessione che oggi può servirci visto l’attuale incalzante sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, estesa anche alla medicina.
L’IA presenta certamente potenzialità notevoli anche in Medicina Omeopatica, consentendo un’elaborazione rapida di grandi dati e l’opportunità di risposte tecniche, che ci possono tentare verso diagnosi e terapie comode, ma sintomatiche, basate sulla probabilità, non sulla personalizzazione, tantomeno su una visione globale dell’individuo nella sua unicità. Questo è un grande pericolo ed una grande illusione soprattutto per chi, da Omeopata, e non da semplice prescrittore di farmaci omeopatici, ha una visione medica ed antropologica basata sulla complessità delle relazioni micro e macrocosmiche in cui si dipana l’esistenza degli esseri senzienti, individualmente e collettivamente.
LE RISORSE DELLA MENTE UMANA NEL LAVORO DEL MEDICO OMEOPATA
Nelle reali situazioni di lavoro del medico valutiamo e prendiamo decisioni non solo sulla base di conoscenze scientifiche ma anche in funzione di valori etici, intuizione, esperienza, sensibilità, cose per le quali non esistono algoritmi!
Gli utopisti dell’intelligenza artificiale, sacerdoti dell’informazione pura, vogliono persuaderci che siamo solo delle macchine imperfette. Se volessimo paragonarci ad esse dovremmo sempre continuare a migliorarci per non soccombere ed ugualmente sarebbe una lotta destinata a fallire, di fronte alla potenza di elaborazione, di memoria e di autoapprendimento di queste nuove tecnologie. Su questi pericoli ci hanno messo in guardia anche personaggi come Bill Gates ed Elon Musk, certo non chiusi al progresso tecnologico.
In realtà l’intelligenza artificiale non è affatto superiore alla nostra, perché le sue prestazioni dipendono da calcoli molto specifici e settoriali. E neppure può sostituirci, anzi ci consente di essere meglio consapevoli di quello in cui siamo infungibili: la dimensione dell’umano unico ed irripetibile, del vivente, del soggettivo, del qualitativo, nella sua complessa ricchezza e profondità.
Non c’è motivo alcuno di provare sentimenti di inferiorità verso le macchine che si avvalgono dell’IA, che rimangono degli strumenti da imparare a gestire. Vorremmo invece mettere in risalto come sia ancora più importante per il medico omeopata, al servizio di una metodologia veramente olistica, valorizzare sempre più quello che la tecnica medica vorrebbe sminuire in nome di una presunta obiettività massificante: l’intelligenza emotiva e l’intelligenza intuitiva necessarie per comprendere e curare meglio i nostri pazienti.
L’intelligenza razionale si riferisce alla capacità di ragionare in modo analitico, utilizzando il pensiero logico e sistematico per risolvere problemi e prendere decisioni. L‘intelligenza emotiva si riferisce alla capacità di riconoscere, comprendere e gestire le proprie emozioni e quelle degli altri. Invece, l’intelligenza intuitiva si basa sulla capacità di comprendere o risolvere problemi in modo rapido ed istintivo, senza un’analisi dettagliata o un ragionamento razionale esplicito. Il termine intuizione deriva dal latino intueor (composto da in = «dentro», + tueor = «guardare», cioè «entrar dentro con lo sguardo»), e rappresenta una forma di sapere non spiegabile a parole, che si rivela per lampi improvvisi. Dal vocabolario Treccani: L’intuizione è la conoscenza diretta e immediata di una verità, che si manifesta alla mente senza bisogno di ricorrere al ragionamento. L’intuito è considerato come una forma privilegiata di conoscenza che consente, superando gli schemi dell’intelletto, una più vera e più profonda comprensione.
L’intelligenza intuitiva è diversa dall’intelligenza emotiva, anche se sono concetti strettamente correlati tra loro. L’empatia è una risorsa fondamentale per l’intuizione. Le persone intuitive sono in grado di connettersi emotivamente agli altri, a un livello superiore, che gli consente di aiutare il prossimo o di notare ciò che stanno vivendo. L’intelligenza intuitiva può coinvolgere l’elaborazione di informazioni sensoriali, il riconoscimento di pattern o la comprensione delle dinamiche sociali.
CENNI SUL RUOLO DELL’INTUIZIONE NEL PENSIERO SCIENTIFICO E FILOSOFICO
Non sorprende che da migliaia di anni le tradizioni filosofiche e spirituali conoscano e coltivino i poteri dell’intuizione. Le filosofie buddista, islamica, induista e occidentale hanno tutte collegato l’intuizione ai piani di coscienza superiore o all’Anima.
In Platone, come condiviso poi anche da Aristotele, è l’intelletto intuitivo (nòesis) che consente di cogliere l’essenza della realtà fornendo dei principi validi e universali. Chi non ricorda l’entusiastico EUREKA! di Archimede?
Immanuel Kant la formalizzò come metodo conoscitivo e la divise tra “intuizione sensibile”, ovvero conoscenza passiva percepita attraverso i sensi, ed “intuizione intellettuale”.
All’intuizione, ritenuta l’organo principe della metafisica, Bergson attribuiva la possibilità più istintiva e genuina di portare a soluzione ogni problema, per la sua capacità, denominata «slancio vitale», di andare oltre la rigidità materiale del pensiero razionale.
Jacques Maritain, allievo di Bergson, reinterpretò la filosofia aristotelico-tomista attraverso l’intuizione dell’essere.
Penrose considerava l’intuizione una forma suprema di sapere, tramite cui apprendere la verità di assiomi non dimostrabili su cui fondare la coerenza dei sistemi logico-formali (come appunto quelli matematici).
Secondo Carl Gustav Jung, che elaborò la sua ipotesi collaborando col fisico quantistico Wolfgang Pauli, premio Nobel e suo paziente, l’intuizione è un processo di intervento dell’inconscio con cui la mente riesce a percepire i modelli della realtà nascosti dietro i fatti, tramite una connessione con la mente inconscia e universale , il cosiddetto “inconscio collettivo”, che ha accesso a un’enorme quantità di informazioni, quindi in teoria le intuizioni che trasmette sono molto più accurate del puro pensiero razionale. Anche le sincronicità rientrano in questi fenomeni.
La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un servo fedele. Abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono. (Albert Einstein).
Più recentemente, Steve Jobs, guru dell’informatica, ha più volte affermato che l’intuito è un’abilità più potente dell’intelletto.
Libri davvero interessanti di autorevoli scienziati, come Educating Intuition (Educare l’intuito), di Robin M. Hogarth. o L’intelligenza intuitiva, di Malcolm Gladwell. ci ricordano l’importanza di questa risorsa, che da sempre aiuta l’umanità a integrare il pensiero analitico nel percorso di scoperta e di conoscenza fondamentale per l’evoluzione.
LE BASI NEUROLOGICHE DELL’INTUIZIONE
Secondo le neuroscienze l’intuizione si fonda sulla raccolta e l’analisi di informazioni sensoriali che il nostro cervello elabora ogni volta che deve prendere una decisione o formulare un pensiero pratico. La neurobiologia dell’intuito ci rivela un aspetto davvero interessante: prendiamo gran parte delle nostre decisioni basandoci sui cosiddetti presentimenti. In fin dei conti, si tratta di quella voce interiore che è a contatto con la nostra identità e con l’essenza di tutto quanto vissuto, sentito e provato. Dando spazio alla nostra parte intuitiva, agevoliamo uno strumento di grande valore. L’intuito è il nostro cosiddetto sesto senso. La ricerca scientifica ci dice che questi processi mentali non provengono dall’immaginazione umana. Hanno, in realtà, una radice e/o una espressione neurologica. In particolare si è potuto osservare che l’area che si illuminava maggiormente alla RMN era il precuneo. Si tratta di una piccola parte del lobo parietale superiore che si trova proprio tra i due emisferi cerebrali, associato alla memoria episodica, al processo visuo-spaziale e, cosa davvero interessante, alla nostra coscienza.
Un’altra area interessante che si attiva quando facciamo uso di queste risposte più intuitive è la corteccia prefrontale ventromediale. In essa risiedono le informazioni riguardanti le ricompense passate, così come il peso degli errori subiti o commessi e che dovremmo evitare per non subire conseguenze spiacevoli. E’ stato il neuroscienziato Antonio Damasio a determinare l’importanza di quest’area nelle nostre decisioni. L’aspetto più interessante è che ci spinge a emettere risposte in base alle emozioni, realizzando una rapida analisi basandosi su esperienze passate. Questa struttura darà origine a una risposta di allerta, per metterci un po’ sull’attenti. Questo sarà il modo in cui la voce dell’intuito si manifesterà nella nostra parte cosciente. Ora, una volta sentita quella voce interiore, abbiamo due opzioni: darle ascolto, oppure sottoporre quella sensazione al filtro del pensiero più analitico per fare una valutazione più scrupolosa.
Gli studi scientifici sulla neurobiologia dell’intuizione ci parlano anche del nucleo caudato. Questa struttura fa parte dei gangli della base, aree associate ai processi di apprendimento, alla nostre abitudini e ai comportamenti più automatici. Il nucleo caudato, pertanto, stimola quell’impulso al sesto senso per aiutarci a prendere decisioni rapide e quasi automatiche basate sull’esperienza e su precedenti insegnamenti.
La ricerca ha dimostrato come anche i neuroni specchio, presenti in varie aree cerebrali, svolgono un ruolo importante nell’intuizione e nell’empatia.
COLTIVARE l’INTUIZIONE
L’intuito non è solo fatto di connessioni neuronali; parte dalla nostra esperienza, si nutre dell’essenza della nostra personalità e di quell’area che è l’inconscio. Le persone intuitive hanno una “connessione speciale con il loro inconscio”, quindi sono in grado di entrare in contatto con la loro “voce interiore”. L’intuizione è associata al lato destro del cervello, responsabile della creatività, dell’immaginazione, dell’attitudine musicale e artistica e delle emozioni. Il lato sinistro del cervello, invece, è collegato alla logica, al ragionamento e al pensiero critico.
Come accedere all’intelligenza intuitiva? A differenza dell’intelligenza logica ed emotiva, quella intuitiva non sembra di facile accesso. Infatti, per accedere all’intelligenza razionale è sufficiente utilizzare il nostro modo di ragionare a cui siamo abituati: classificare, analizzare, dedurre, semplificare. Per accedere all’intelligenza emotiva dovremo metterci nei panni dell’altro, entrare in contatto con le nostre emozioni e imparare ad esprimerle. Invece, l’accesso all’intelligenza intuitiva sembra essere fuori dal nostro controllo, non dipendere dalla nostra volontà. Anche questa è una qualità a cui si è geneticamente più o meno predisposti ma che può essere allenata e perfezionata. L’intuizione arriva quando meno te lo aspetti e, magari, quando stai pensando ad altro, facendo parte di una dimensione non lineare della nostra mente in cui si creano connessioni ed associazioni inconsce che giungono alla nostra consapevolezza apparentemente dal nulla. La solitudine ed il silenzio, come pure l’attenzione rilassata ed una presenza distaccata, possono “aguzzare l’intuito”, far nascere il pensiero creativo, favorire una spaziosità mentale ed aiutare a connetterci al nostro Io più profondo. Le persone intuitive non hanno schemi rigidi, né pensieri fissi. Lasciano che il pensiero possa fluire libero, e sono in grado di cambiare idea rapidamente quando hanno una intuizione. Tutte le esperienze e le tecniche, dalla meditazione alla mindfulness e molte altre, che contribuiscono ad essere più consapevoli di se stessi e di sviluppare l’auto/etero- osservazione, ci mettono in grado di comprendere le componenti sottili e dinamiche che esistono ed agiscono in noi e negli altri. Imparando a mettere a tacere la mente razionale, a connettersi con il corpo, a distaccarsi da pregiudizi, fantasie ed i pensieri fuorvianti con un metodico lavoro su stessi, sarà più facile entrare in contatto con il proprio intuito sano in qualsiasi circostanza della vita. Lo stesso procedimento si può attuare anche durante lo svolgimento della visita medica omeopatica, stabilendo un campo di apertura empatica col paziente. L’emergere eventuale di un input intuitivo va confrontato con l’analisi razionale e lo studio della materia medica, cosa essenziale
per il clinico responsabile. Le persone prevalentemente intuitive non sempre possono spiegare razionalmente le proprie scelte agli altri. A volte, l’assenza di motivazioni logiche può originare dubbi e allora bisogna fare un passo indietro e interrogare, con più attenzione e consapevolezza, la propria voce interiore.
Antichi e moderni maestri di Omeopatia, come ad esempio Kent o Paschero, fanno osservare che ci sono medici che privilegiano il metodo più analitico, ad esempio con grande fedeltà e diremmo, a volte, dipendenza, dal repertorio omeopatico, ed altri che hanno un approccio più intuitivo e sintetico, detto anche artistico. La predominanza miasmatica e costituzionale del terapeuta influenza ovviamente anche questo orientamento. Nel tempo ho potuto notare come, con l’età e l’esperienza, questa seconda modalità diventa sempre più prevalente ed efficace, per cui talora in modo stupefacente un maestro esperto fa la diagnosi e la terapia in pochi minuti. Il professore Antonio Negro, che ho avuto l’impagabile opportunità di seguire in studio per alcuni anni, e con una conoscenza ed una esperienza senza paragoni, arrivava rapidamente alla diagnosi del rimedio nel corso della visita, poi faceva finta di verificare qualche sintomo sul repertorio ad uso di noi studenti, ma non sempre si poteva capire il perché della prescrizione, e tuttavia il risultato terapeutico poi si dimostrava incontrovertibile.
Bisogna essere sempre ben coscienti che la rigidità metodologica, la tendenza alle scorciatoie con abuso di gabbie classificatorie astratte in cui si forzano i quadri sintomatici raccolti, il pregiudizio basato su teorie o esperienze precedenti, sono tutti elementi che ostacolano la libertà e la purezza dell’osservazione e dell’intuizione nella percezione del campo dinamico del paziente, espresso da sintomi, segni e da comunicazioni non verbali, come sempre raccomandavano Hahnemann ed i grandi Maestri del passato.
RIFLESSIONI SUL FUTURO DELLA MEDICINA OMEOPATICA NELL’ERA DELL’IA
L’IA ha il potenziale per migliorare significativamente la medicina, ma è importante essere consapevoli dei suoi limiti. L’IA dovrebbe essere vista come uno strumento per supportare i medici, non per sostituirli. Sicuramente la raccolta anamnestica, l’analisi dei sintomi, la repertorizzazione agevolata da sistemi esperti o la ricerca del rimedio più simile possono avvantaggiarsi con l’IA, sapendola maneggiare. Questa però impara dai dati che le vengono forniti. Se i dati sono incompleti, imprecisi, distorti o carenti, l’IA produrrà risultati inaffidabili. Questo vale anche per l’uso omeopatico, quando abbiamo informazioni da fonti, proving, repertori o materie mediche non sufficientemente verificati. Si tratta di un rischio oggi importante soprattutto per l’ampliamento quantitativo, ma non qualitativo delle patogenesi moderne, come anche per la presenza di bias dei dati, che l’IA può amplificare. La medicina omeopatica di fronte a questa sfida del nuovo dott. Google potenziato dall’IA, tuttavia stravince, grazie alle sue caratteristiche fondamentali che la mantengono ad un livello inarrivabile per la medicina riduzionista, dominata dalla tecnologia: la cura del contesto clinico-sociale e della storia biopatografica del paziente, l’enfasi sulla empatia e sulla qualità del rapporto medico-paziente, lo studio della totalità sintomatica oggettiva e soggettiva a livello fisico, psichico ed esistenziale, nell’attualità come nella sua storicità, la terapia altamente individualizzata della globalità della persona, con attenzione alla reale qualità di vita. La necessità di integrare le funzioni logiche e mnemoniche, anche se amplificate dalla IA, con altre facoltà specificamente umane, come l’intelligenza emotiva e quella intuitiva, tanto importanti per la cura profonda dell’essere vivente, risulta incomprensibile per “l’intelligenza artificiale”. Questo sottolinea il divario che rende tanto speciale la nostra Omeopatia Unicista nel panorama medico attuale, che, contemperando armoniosamente la dimensione scientifica e quella umanistica, è una vera della Medicina della Persona. Finché sarà cosi (ma chi può dirlo in futuro?) gli Omeopati saranno “solo” Uomini e non degli androidi capaci di sognare pecore elettriche.
In fondo, ed è uno dei messaggi del libro, NOI VIVENDO CELEBRIAMO LA VITA…E IL SUO MISTERO.