Case report, ricerca scientifica e omeopatia veterinaria: l’unione fa la forza
Sin dalla sua nascita l’omeopatia ha dovuto confrontarsi con la Medicina Ufficiale in merito all’eterno e controverso dibattito sulla propria efficacia. Prove tecniche di auto critica nel mondo omeopatico hanno ormai radici molto lontane nel tempo e la necessità di mostrarsi credibili, non solo nei confronti della scienza ufficiale, diventano anche per la comunità omeopatica veterinaria un’autentica esigenza..
Enio Marelli Medico Veterinario – Omeopata TORINO
marellienio@gmail.com
www.eniomarelli.com
Siamo ormai prossimi al XX Congresso Nazionale FIAMO che si terrà a Roma il 16 e 17 marzo 2024. L’eloquente titolo “Clinica e Ricerca in Omeopatia” esprime chiaramente l’esigenza di tutto il mondo omeopatico compreso quello veterinario di dare risalto agli sforzi compiuti in questa direzione negli ultimi 30 anni e più recentemente in modo decisamente sistematico.
Si avverte forte l’esigenza non solo di proteggersi dagli attacchi, che ancora quotidianamente i mass media riservano al nostro settore, ma altresi di individuare parametri sensibili per monitorare il trattamento ed il follow up dei pazienti, attraverso la corretta applicazione della metodologia omeopatica. Il fine di questi sforzi è di ottenere risultati oggettivi e validati, senza trascurare l’esigenza di trovare un linguaggio comune che ci permetta di riscoprire un dialogo sereno e reciprocamente rispettoso nei confronti della scienza accademica.
La ricerca in omeopatia, nonostante l’interesse della collettività, non è considerata una priorità nel mondo scientifico, ma sicuramente lo è dalla notte dei tempi per tutto il mondo omeopatico, compreso quello veterinario. Il primo lavoro cosiddetto scientifico omeopatico in ambito veterinario risale al 1950. Bardoulat l’autore francese svolge una ricerca sull’utilizzo di Pyrogenium in medicina veterinaria ed è autore di un testo: “Manuel d’Homeopathie veterinaire” scritto nel 1956. Da allora l’elenco è lungo, fino ai giorni nostri e scopriamo quasi con stupore che su PubMed sono pubblicati circa 100 lavori che riguardano la ricerca in omeopatia veterinaria. Personalmente nel 2008 ho collaborato con l’Università di Medicina Veterinaria di Torino al progetto “Sperimentazione dei rimedi omeopatici nella cura della papillomatosi bovina ed indagine sierologica” e sono stato correlatore nella sessione di laurea per la tesi “Papillomatosi bovina, esperienze di trattamento omeopatico”. A marzo dello stesso anno sono stato docente per l’Istituto di Ginecologia bovina dell’Università di Torino di medicina veterinaria, in occasione di due esperienze in campo con gli studenti del quinto anno del corso di laurea, finalizzati a mettere in pratica la medicina omeopatica negli allevamenti zootecnici di bovine da latte. Dal 2016 al 2018 ho sperimentato alcuni rimedi omeopatici appartenenti alla famiglia delle Apiaceae come supporto alle problematiche legate alla mungitura robotizzata in una azienda di mucche da latte.
La questione vera è che il contributo di ogni omeopata sommato per la ricchezza che esprime soggettivamente produce una meravigliosa opera d’arte, credo che stia succedendo questo, stiamo scoprendo la ricchezza che si svela collaborando, unendo gli sforzi di ognuno, in nome di un intento comune e condiviso. Non è vero che l’università come istituto sia sempre stata a sfavore dell’omeopatia, certamente è il linguaggio che ancora oggi usiamo con troppa disinvoltura al di fuori del nostro mondo che può avere creato delle riserve, non credo dipenda da altro. Ricordo con affetto e stima il contributo della Scuola di Omeopatia Internazionale Rita Zanchi di Cortona in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico del Lazio e della Toscana, promotore nel 2007 di una collaborazione volta a tracciare l’obbiettivo comune di individuare parametri sensibili per monitorare il trattamento ed il follow up dei pazienti, finalizzando gli sforzi all’implementazione di modelli integrativi applicabili alla sanità veterinaria. Nasce così in quell’anno presso la Sezione di Arezzo, il primo Centro di Medicina Integrata in Veterinaria. Non dimentichiamo che la legislazione comunitaria suggerisce per le produzioni biologiche il ricorso a questa terapia, e questo non può passare inosservato alla comunità scientifica ufficiale che inizia a dedicarsi alla ricerca e alla sperimentazione omeopatica. L’assenza dei residui negli alimenti di origine animale, l’assenza di molecole farmacologiche attive nelle deiezioni degli animali trattati, nonché gli indubbi risparmi economici nella gestione sanitaria non può che essere da stimolo a tutto tondo, coinvolgendo tutti i settori che ruotano intorno al mondo della sanità. Non sarà certamente un caso se recentemente nasce il progetto comunitario “Circular Health” (CHEDIH) coordinato dall’Università di Torino, progetto preselezionato dal Ministero per lo Sviluppo Economico finalizzato alla partecipazione al bando European Digital Innovation Hub (EDIH) che ha portato nell’autunno 2022 alla creazione di un centro per supportare e finanziare la transizione digitale delle aziende e della pubblica amministrazione nei settori Salute e Agroalimentare del territorio Piemontese e Valdostano. E’ ormai riconosciuto che l’approccio alla salute deve considerare anche l’ecosistema in cui vive l’uomo: animali, piante e ambiente. Come obiettivo, il progetto Circular Health EDIH affianca quindi alla sanità il sistema agroalimentare che è basato sull’interazione fra ecosistemi urbani, rurali e naturali, introducendo anche tecnologie di avanguardia come Intelligenza Artificiale, Calcolo ad alte prestazioni, Cybersecurity, Blockchain, Cloud e IoT. E’ incredibile pensare come l’omeopatia si declinerebbe perfettamente ad un progetto di tale portata. E purtroppo scrivo al condizionale perchè qualche vocina mi sussurra all’orecchio che probabilmente il mondo omeopatico non è ancora strutturato e pronto alla sfida.
Stiamo convergendo verso il congresso con la sensazione che sia ormai giunto per il mondo omeopatico il tempo di raccogliere i frutti di tanti sforzi, cadute, momenti di frustrazione alternati a immense soddisfazioni, certi che tutto il mondo accademico non possa più voltarci le spalle, ignorando il peso e la qualità del nostro impegno direzionato verso i più alti fini dell’esistenza, che sia umana o animale e senza dimenticarci quanto di importante accade nel mondo vegetale di pertinenza omeopatica.
E, uno dei fondamenti della ricerca scientifica, l’impiego dello stesso rimedio in gruppi di pazienti affetti dalla stessa sintomatologia, è estremamente difficile da applicare in omeopatia poiché comporterebbe la assenza della individualizzazione della terapia, operazione possibile soltanto con quadri clinici eccezionalmente monomorfi. Non vi e alcun dubbio che la ricerca in omeopatia, sia quella clinica che di laboratorio, si trova a confrontarsi con problemi di riproducibilità dei dati e di correttezza metodologica, problemi che riguardano qualsiasi campo avanzato della scienza. Queste problematiche possono essere in parte superate nelle sperimentazioni omeopatiche in ambito veterinario, in quanto è possibile considerare l’allevamento intensivo come un “paziente unico”; ciò facilita e permette di valutare la effectiveness /effettività (efficacia della terapia nelle reali condizioni in cui viene normalmente applicata) della terapia omeopatica. Da non confondere con Efficacia: il livello in cui un intervento (terapeutico o preventivo), produce un risultato benefico in una situazione sperimentale. Nell’ambito delle polemiche inerenti la “non applicabilità” della ricerca nel campo delle CAM, riteniamo significativo, riportare integralmente le valutazione della Commissione Regionale di Bioetica della Regione Toscana: (…) ben consapevole del fatto che, sottoporre a criteri scientifici la valutazione dell’efficacia e della sicurezza delle CAM, incontra l’oneroso problema di definire in che misura le CAM possano essere sottoposte efficacemente ai parametri che classicamente sono stati definiti per le peculiarità della medicina accademica occidentale. La domanda che sempre più spesso viene posta, e per rispondere alla quale a livello internazionale molto si lavora, riguarda infatti oggi non già la possibilità stessa di una sperimentazione in CAM, bensì la ricerca di standard che, sebbene non rispondenti completamente ai criteri imposti dall’Evidence Based Medicine (EBM), siano comunque adeguati a garantire il controllo scientifico delle CAM, nel rispetto delle peculiarità che ciascuna di esse propone. Il problema dell’insufficienza dei parametri EBM a valutare specifici ambiti della medicina, per altro verso, non si pone solo o prioritariamente per le CAM, ma anche per la valutazione dell’efficacia di alcuni settori della Biomedicina come, ad esempio, gli interventi di cure palliative. La Commissione Regionale di Bioetica ha trovato su questa materia una perfetta sintonia tra le sue diverse componenti, proprio a partire dalla condanna di ogni atteggiamento di rifiuto preconcetto e non motivato, sia nel non voler considerare le CAM quale opzione possibile, sia anche da parte di chi rifiuta di sottoporre le CAM ad un controllo scientifico, portando a pretesto una presunta incommensurabilità dei paradigmi medici e dunque l’impraticabilità della ricerca scientifica in questo settore. La Commissione Regionale di Bioetica ritiene invece che tale percorso di ricerca scientifica debba essere raccomandato, incentivato, nel quadro complessivo di un impegno etico delle risorse pubbliche in sanità e concettualmente sostenuto dalle istituzioni. La ricerca nel settore delle CAM, oltre agli QUADERNI DI ZOOPROFILASSI16 172345QUADE5DERNNIUN DZ4OOD studi osservazionali laddove applicabili, dovrebbe dunque concentrarsi su differenti tipologie di studi:
1. studi clinici controllati intesi a verificare efficacia e sicurezza di CAM in confronto a placebo;
2. studi clinici controllati intesi a verificare efficacia e sicurezza di CAM in confronto a farmaci allopatici corrispondenti (è ovvio che tali studi possono essere effettuati unicamente laddove sia evidente che la terapia convenzionale non sia di comprovata efficacia, esistano controindicazioni al trattamento convenzionale o la patologia presa in esame sia clinicamente di scarsa rilevanza);
3. studi clinici controllati intesi a verificare il valore aggiunto, in termini di efficacia, di CAM aggiunte alla terapia ufficiale corrispondente: è la tipologia di studi che la Commissione ritiene dovrebbe prioritariamente essere perseguita, studi in cui la CAM è aggiunta alla terapia tradizionale ed è confrontata con terapia ufficiale + placebo.
Questa è infatti la prospettiva in grado di dimostrare il valore aggiunto della CAM integrata nella Biomedicina così come perseguita nel modello toscano. La sperimentazione delle CAM, tuttavia, non può non prevedere la disponibilità ad una almeno parziale riconsiderazione dei criteri e i modelli proposti dalla pratica delle Evidence Based Medicine (EBM), che potrebbero in parte dovere essere adattati alle peculiarità proprie dei paradigmi proposti da ciascuna disciplina delle CAM. E’ da precisare che non si intende qui prevedere per le CAM criteri differenti o un rigore attenuato per la ricerca di prove di efficacia e sicurezza, poiché la necessità di adeguamento del modello, sempre nel rispetto del rigore e della scientificità del metodo proposto per tutta la ricerca scientifica, è risultata utile e doverosa non solo per la volontà di rendere possibile il controllo delle CAM con criteri validati, ma per tutte le analoghe esigenze emerse in settori importanti della stessa medicina occidentale che con difficoltà si attagliano alle prerogative proprie dell’EBM. Tali standard, comunemente accettati dalla comunità scientifica sebbene sempre modificabili e migliorabili, sono coerenti ad alcune specialità di CAM, ma risultano inadeguati per altre.
La valutazione dell’efficacia e della sicurezza della fitoterapia, ad esempio, è simile a quella della Biomedicina, tanto che in questo settore è possibile non solo reperire nella letterature scientifica sia studi clinici controllati che meta-analisi eseguiti con le metodiche tradizionali, ma anche rendere operativa una fitosorveglianza come accade nella Regione Toscana.
Nel caso dell’omeopatia, invece, le EBM incontrano maggiori difficoltà, perché la modellistica su cui è costruita l’evidenza delle EBM non è idonea a cogliere gli effetti stimolanti su funzioni vitali indotti dalla somministrazioni di microdosi di sostanze. Esistono poi ostacoli specifici determinati dalle caratteristiche di alcune pratiche di CAM: nell’agopuntura, ad esempio, è impossibile condurre sperimentazioni in doppio cieco e l’uso del confronto con placebo, pur negli usi consentiti, comporta non pochi problemi”. In fondo, come per la ricerca in biomedicina, anche nell’ambito delle CAM dovremmo tener sempre presente la dichiarazione di Helsinki, quando recita che “la ricerca medica è giustificata se vi è una ragionevole probabilità che le popolazioni in cui la ricerca è condotta possano beneficiare dei risultati della ricerca” e che “nella ricerca su soggetti umani, le considerazioni correlate con il benessere del soggetto umano devono avere la precedenza sugli interessi della scienza e della società (…).
É solo negli ultimi decenni che la Medicina si è posta in maniera formale il problema dell’EBM e questa disciplina non è ancora entrata nel curriculum formativo degli operatori sanitari. Questo è ancor più vero per le CAM con scarsa preparazione dei Medici che le studiano e le praticano. Recentemente, studi di efficacia clinica compaiono sempre più spesso nella bibliografia medica omeopatica, ed è necessario informare i tecnici che le praticano quotidianamente. L’obiettivo di uno studio di efficacia clinica è dimostrare (ovviamente in termini probabilistici) l’esistenza di una relazione causale (di causa-effetto) fra un intervento X ed un esito (outcome) O in una popolazione di studio P. Per raggiungere questo scopo, possono essere disegnati studi metodologicamente molto diversi, di realizzazione molto semplice o molto complessa, a costo zero o molto costosi, molto o poco “potenti”, ecc. (capacità di dimostrare l’esistenza di una relazione di causa-effetto in maniera convincente). Esistono studi osservazionali con controlli di tipo prospettico in cui abbiamo un gruppo di individui che vengono sottoposti ad un intervento e vengono poi seguiti per un certo tempo per poter rilevare lo stato di salute a distanza (l’esito o outcome) e contemporaneamente un gruppo di individui (i controlli) che vengono sottoposti ad un altro o a nessun intervento, e vengono poi seguiti per lo stesso tempo per rilevare l’esito. La diversa frequenza di outcome nei due gruppi è la misura dell’efficacia del nuovo intervento. Ci sono poi studi osservazionali con controlli di tipo retrospettivo (detto anche studio caso-controllo) in cui l’osservazione va a ritroso nel tempo. In due gruppi di individui (uno che presenta una certa patologia e l’altro che non la presenta), si va a vedere quanti, in un tempo precedente, erano stati esposti ad un certo fattore di rischio o avevano ricevuto un certo intervento. Esistono poi gli “studi clinici controllati e randomizzati” (Randomized Controlled Trial – RCT), in cui si passa dal paradigma osservazionale a quello sperimentale, dove la selezione dei pazienti da trattare con il farmaco “vero” (casi) o da trattare con il placebo (controlli). è affidata al caso. Sono l’unica via affidabile per dimostrare l’esistenza di una relazione causale fra un intervento terapeutico ed un esito.
In conclusione, se vogliamo sapere se un trattamento è efficace e sicuro dobbiamo cercare in letteratura studi clinici sperimentali randomizzati, controllati ed in cieco, possibilmente multicentrici e quindi con casistiche numerose, dove l’ipotesi terapeutica, le procedure e le misure di esito siano ben specificate, misurate obiettivamente ed analizzate con procedure statistiche semplici e comprensibili. Le metanalisi misurano attraverso studi epidemiologici, i risultati di più RCT sullo stesso trattamento: quando diversi ricercatori, in diversi contesti ma con metodologie confrontabili hanno osservato gli stessi effetti, è probabile che anche noi li ritroveremo nei nostri pazienti.
Analizzando senza pregiudizi la letteratura scientifica è molto difficile sostenere che non vi siano “evidenze” a favore dell’efficacia clinica dell’omeopatia. Siamo sempre più consapevoli, alla luce dello stato attuale della problematica scientifica e della situazione storica, che la ricerca in omeopatia deve essere incentivata e pro-ossa con tutti i metodi a disposizione, nell’interesse dei pazienti e della conoscenza.
HIMed – Homeopathy and Integrated Medicine, Novembre 2011, 2 (2)
SIOMI, Società Italiana di Omeopatia e Medicina Integrata. Manifesto per la Medicina Integrata
“Prova tutto e trattieni ciò che è buono: questo è e rimane il primo comandamento della scienza. La medicina è scienza dell’esperienza, è pratica, è continuo esperimento e l’esperimento non si è mai concluso. Solo l’espe- rimento, la discussione e la controdiscussione, il continuo e libero studio e il tempo potranno separare il vero dal falso, l’utile dall’inutile”.
(C.W. Hufeland, 1830)
Ne deriva che il fine della medicina accademica purtroppo si limita piuttosto al raggiungimento di un equilibrio tra soppressione dei sintomi clinici e contenimento degli effetti collaterali dei farmaci piuttosto che alla risoluzione della malattia. Questo accade perché la medicina occidentale ha scelto di sottovalutare la complessità della malattia e di relegare il ruolo del malato ad oggetto portatore di malattia ignorando quanto egli possa essere, in realtà, potenziale protagonista del recupero del proprio stato di salute.
Ed è proprio sul potenziale di auto-guarigione che investono le medicine complementari, compresa l’omeopatia. Ripensare la cura è possibile, dunque, a cominciare dal ridisegnare alleanze tra medicine fondate su paradigmi differenti che, a nostro modo di vedere, non sono incompatibili.