La nuova generazione

La nuova generazione

Con l’età media degli omeopati in attività che va progressivamente innalzandosi verso la soglia della pensione è ragionevole interrogarsi sulla nuova generazione a cui passeremo il testimone, in una staffetta ideale che da duecento anni assicura continuità alla pratica della medicina omeopatica.

Bruno Galeazzi Medico Chirurgo – Omeopata BASSANO DEL GRAPPA (VI)

Presidente Fiamo
bruno-g@aruba.it

Mentre in alcuni Paesi, come la Gran Bretagna, la staffetta ha assicurato una continuità stabile nel tempo, in Italia la pratica della medicina omeopatica ha conosciuto vicende alterne. Dopo alcuni decenni di declino, per trent’anni, dagli anni ‘70 ai ‘90, un cospicuo numero di medici si è riavvicinato all’omeopatia, sulla spinta di un vasto movimento culturale e anche grazie a favorevoli condizioni economiche, professionali e sociali. Con il nuovo millennio, la richiesta di formazione in medicina omeopatica è andata progressivamente riducendosi, costringendo all’inattività numerose scuole, ma negli ultimi anni si sta assistendo ad un rinnovato interesse e le Scuole stanno vedendo aumentare i loro iscritti.

Per assicurare un adeguato ricambio generazionale nella pratica clinica dell’omeopatia, ma anche nella partecipazione alle attività associative, è fondamentale cercare di assicurarsi che il maggior numero degli allievi, una volta diplomati, proseguano attivamente la pratica clinica omeopatica. Sappiamo dai report di diverse Scuole nazionali e anche da colloqui con docenti di Scuole di altri Paesi, che un certo numero di allievi che completano il percorso formativo non integrano o non applicano le competenze omeopatiche acquisite, né tantomeno fanno dell’omeopatia la loro attività primaria. In questi anni in cui non c’è esubero di allievi è necessario comprendere precisamente i motivi di tale difficoltà e se possibile porvi rimedio.

Sia FIAMO, durante l’ultimo congresso nazionale, sia ECH, durante il recente incontro internazionale a Bergamo, hanno dedicato tempo ed energie nell’investigare le caratteristiche e i bisogni della nuova generazione che si affaccia all’omeopatia. La nuova generazione mostra caratteristiche molto pragmatiche, poco interessata a contese ideologiche; è invece alla ricerca di dare risposte pratiche a domande concrete, riguardo alla necessità di costruire un proprio percorso professionale che nell’utilizzo dell’omeopatia trovi una adeguata efficacia clinica e quindi permetta un’attività economicamente sostenibile. In diversi interventi, i giovani omeopati hanno espresso la necessità, dopo il conseguimento del diploma, di essere accompagnati da (parte di) omeopati esperti con attività di supervisione e tutoraggio che permettano ai giovani di consolidare ciò che hanno appreso nel percorso curriculare e trasformare progressivamente le incertezze del neofita in solida esperienza clinica.

Nell’accordo Stato – Regioni del 2013, agli articoli 4-5-6 sono descritti i requisiti dei percorsi formativi per la fitoterapia, l’agopuntura e l’omeopatia. È bene che siano stati definiti tali criteri formativi, che permettano il riconoscimento dei diplomi da parte degli Ordini del Medici, previo accreditamento delle Scuole di formazione da parte di una Commissione regionale, che purtroppo in molte Regioni non è stata attivata. Al lato pratico ci accorgiamo però che le ore di formazione curriculare non soddisfano pienamente le necessità formative al fine di un’efficace pratica clinica.

In India la situazione degli studenti di omeopatia è molto più favorevole, perché possono compiere un intero percorso di laurea in medicina omeopatica, in cui ogni anno ricevono un numero simile di ore di insegnamento teorico e pratico a quello che gli studenti delle nostre scuole ricevono in tre anni. I risultati sono evidenti: molti laureati proseguono nella pratica clinica omeopatica e pure l’attività di ricerca clinica che essi producono è considerevole, se comparata con le enormi difficoltà, di varia natura, che invece incontriamo in Europa.

Se comparassimo il numero di ore dedicate alla formazione in Italia rispetto all’India ci accorgeremmo di un divario enorme. Siamo consapevoli che per una formazione efficace non esistono scorciatoie, sono necessarie molte ore di studio teorico e di attività clinica supervisionata, molte più di quelle previste dall’Accordo Stato-Regioni.

Ora espongo un mio personale pensiero, che vuole stimolare, se possibile, una discussione in ambito formativo. Se l’obiettivo è formare medici omeopati che sappiano applicare efficacemente, preferibilmente come opzione professionale principale, l’omeopatia, dovremmo proporre percorsi formativi molto più esigenti ed impegnativi per il conseguimento del diploma e successivamente avere a disposizione una rete di omeopati esperti che offrano supervisione clinica a medio-lungo termine.

La formazione in medicina omeopatica dovrebbe almeno essere considerata allo stesso livello dei percorsi di specializzazione. Al termine di un percorso di specializzazione solitamente il medico ha acquisito così ampie e solide competenze specifiche che si sente sicuro di poterle applicare nella sua pratica clinica. Lo stesso grado di solidità e sicurezza dovrebbe raggiungerlo anche lo studente della “scuola di specializzazione” in omeopatia.

Purtroppo si assiste in alcune situazioni a tendenza formative che vanno nella direzione opposta. Al fine di avvicinare i giovani medici all’omeopatia si propongono corsi semplificati, brevi, poco impegnativi in termini di tempo e di costi. Se tali percorsi possono essere utili per innescare un interesse verso l’omeopatia, devono essere però esplicitati chiaramente i loro limiti: la pratica clinica efficace dell’omeopatia richiede un investimento congruo di tempo, soldi ed energie, almeno tanto quanto ne richiede una scuola di specializzazione per una disciplina convenzionale. Indubbiamente esiste una vistosa differenza: attualmente, uno specializzando percepisce uno stipendio, mentre lo studente di omeopatia investe di tasca propria e spesso come medico è già impegnato in altre attività. Queste palesi differenze e difficoltà non dovrebbero comunque distoglierci dal cercare di individuare precisamente come perseguire l’obiettivo di avere giovani medici omeopati che raccolgano il testimone nella pratica clinica e nell’attività associativa.

L’approccio pragmatico della nuova generazione potrebbe cogliere favorevolmente una opportunità formativa più impegnativa, in termini di tempo e di costi, ma che anche restituisca più competenze e maggiori probabilità di recuperare l’investimento iniziale con la ricompensa professionale ed economica di una ben avviata ed efficace attività clinica omeopatica?

È una domanda che rivolgo idealmente alle Scuole e soprattutto agli studenti.

L’attenzione alla necessità di avviare un efficace e progressivo ricambio generazionale dovrebbe essere posta ora tra le attività prioritarie della nostra generazione.

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