Leggere un solo libro
La mia signora ride di me, dice che leggo sempre lo stesso libro. E’ una ricercatrice, per lei è incomprensibile, dovrei consultare sempre nuovi testi, aggiornarmi. Invece io leggo sempre lo stesso libro. E lei ride. In realtà non è sempre lo stesso, sono 4 o 5 con la copertina simile, ma la sostanza non cambia.
Ho sempre avuto una certa riluttanza verso le sacre scritture, senza l’accezione religiosa, intendo verso quei testi che non possono essere modificati, vanno accettati e compresi. Mi sono sempre detto che in fondo sono stati scritti da umani, come tali fallaci o imperfetti e, comunque, risentono inevitabilmente dello scorrere del tempo. Ho dovuto ricredermi più volte. E, indovinate, ho dovuto smentire me stesso nel confronto con l’Organon di Samuel Hahnemann. Proprio questo testo mi ha costretto a riflettere sulla differenza fra capire e comprendere.1 E successivamente riuscire ad applicare ciò che si è compreso. Ho dovuto accettare che per afferrare concretamente il senso di alcuni concetti occorrono anni, decenni, a volte non basta una vita. E che questa comprensione riassume il senso stesso del lavoro dell’Omeopata ed è misura della sua capacità di curare.
Nel § 153 Hahnemann ci dà una chiave di lettura circa i sintomi che realmente contano per la prescrizione, e li definisce così:
(…) Auffallenden, sonderlichen, ungewöhnlichen und eigenheitlichen (charakteristischen) Zeichen und Symptome (…)
Auffallend = saltano alla vista, sono predominanti.
Sonderlich = inusuali.
Ungewöhnlich = straordinari (außer-gewöhnlich).
Eigenheitlich (charakteristisch) = la forma peculiare, speciale di reagire. Eigen vuol dire che è proprio del paziente.2
Possiamo ascoltare un paziente per una settimana, raccogliere dati su dati da riempire un volume e, paradossalmente, non riuscire a trovare una terapia adatta. Ci troveremo piuttosto imbrigliati in una massa di informazioni e di ipotesi che ci porteranno alla paralisi prescrittiva. Più ci sforzeremo di essere attenti, diligenti, analitici e accurati, più la scelta terapeutica risulterà difficile.
Quali sono i sintomi che contano realmente?
Come sviluppare una strategia per estrarli dalla miriade di altri, assai meno caratteristici e quindi poco utili?
In definitiva, come rendere possibile il nostro lavoro di terapeuti riuscendo, in un lasso di tempo ragionevole, a cogliere ciò che serve a mettere a punto una terapia efficace?
La risposta non è un metodo, né regole da seguire, la risposta è: comprendere.
E ancora comprendere, di più, meglio, in profondità.
La risposta è fare proprio, assimilare, rendere parte di sé, come tutti quei gesti spontanei di ogni giorno che ci permettono la sopravvivenza migliore possibile. Lasciar penetrare, quindi, in ogni nostra cellula – non solo nei neuroni – il senso delle parole: sintomi predominanti, inusuali, straordinari, caratteristici.
Spontaneamente approcceremo il paziente nel modo più appropriato per ricevere queste preziose informazioni, chiedendo quel che serve e come serve. Accettato questo obiettivo, non ci rimane che leggere lo stesso libro, e ancora, e ancora, fino a che non si apra un varco nel nostro schematismo mentale. Temo che qualcuno continuerà a ridere a lungo.
Buon fine anno, Omeopati!
REFERENZE
1 La differenza tra “capire” e “comprendere” è sottile, ma significativa.
Capire è spesso associato a una comprensione immediata e superficiale di un concetto o di un’idea. Significa riconoscere o afferrare il significato di qualcosa, come quando leggi un testo e ne afferri il senso generale. Comprendere, d’altra parte, implica una conoscenza più profonda e un’elaborazione più articolata. Significa non solo capire il significato, ma anche afferrare le sfumature, i contesti e le implicazioni di un argomento. Comprendere richiede un’analisi più critica e una riflessione più attenta. In sintesi, capire è più legato a una percezione immediata, mentre comprendere coinvolge una cognizione più profonda e sfumata. (Da ChatGPT)
2 Renzo Galassi: I sintomi mentali del repertorio omeopatico – Salus Infirmorum
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