Nel bene o nel male purché se ne parli

Fig. 1. Un frammento del giuramento di Ippocrate sul papiro di Ossirinco 2547 del III secolo.

Nel bene o nel male purchè se ne parli

Enio Marelli Medico Veterinario – Omeopata   TORINO

marellienio@gmail.com
www.eniomarelli.com

Diceva Oscar Wilde per bocca del suo straordinario personaggio Dorian Gray: There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about. In un momento storico in cui la medicina dei protocolli ha censurato definitivamente il pensiero medico a vantaggio del dio farmaco e a discapito della relazione medico-paziente, l’Omeopatia sopravvive alle critiche feroci rivolte dalla comunità scientifica. Le critiche aumentano nel corso degli anni insieme ai pazienti che desiderano essere curati con il dolce veleno: perché allora la comunità omeopatica si sdegna rivelando in un certo senso una sorta di intrinseca debolezza?

Anche in medicina veterinaria il progresso medico sta vivendo oggi il suo periodo più esaltante. Probabilmente scimmiottare quanto osserviamo in ambito umano è per il mondo scientifico a cui apparteniamo un traguardo fondamentale. Nel contempo anche in questo contesto è evidente una certa crisi della medicina, che si riflette sul rapporto che lega l’uomo al suo amico a 4 zampe. In veterinaria, oltre al processo di spersonalizzazione dei pazienti che si osserva puntuale in medicina umana, si assiste anche ad un certo interesse, legato più al marketing che alla pratica del sapere medico scientifico. Nascono come funghi strutture super attrezzate dove potersi sbizzarrire in ambito diagnostico, mentre preventivi degni di tante cliniche umane pongono i clienti in uno stato di confusione totale. E qui arriviamo puntuali noi omeopati con palline zuccherate e goccine miracolose a turbare la succulenta routine delle cliniche e ospedali veterinari.

La critica costante, che profuma più di censura, che ci viene costantemente rivolta è ovvia e scontata, ma in realtà la comunità omeopatica la subisce, a mio avviso ingenuamente e senza farne tesoro. Nella filosofia di Kant, il termine critica rappresenta il processo attraverso il quale la ragione umana prende coscienza dei propri limiti. E forse questo che non riusciamo a fare? Fermarci un momento a riflettere sui nostri errori, dettati probabilmente da una certa presunzione da cui anche noi omeopati, in quanto medici, non riusciamo a emanciparci? In un momento storico dove la certezza del dubbio, come elemento costitutivo inscindibile della pratica medica, è messo fortemente in discussione, la medicina omeopatica spaventa e rappresenta una spina nel fianco a chi con retorica feroce si rivolge al medico che coltiva l’umiltà, la paura di sbagliare e la psicologia del compromesso. In un contesto sociale dove anche in veterinaria assistiamo attoniti ad una costante crescita della richiesta di un approccio che si distacchi dal metodo scientifico e che come omeopati ci chiama in causa direttamente. Il dato più sconcertante proviene proprio dal mondo a cui abbiamo dedicato la nostra vita, mancano gli omeopati e nelle scuole latitano gli iscritti. E’ forse questo un dato che possiamo imputare alla censura che ci rivolge la scienza medica ufficiale o che andrebbe recepito con maggiore senso autocritico in seno al mondo a cui apparteniamo? Il dubbio ci deve cogliere preparati almeno sul suo significato più recondito e deve illuminare la nostra realtà come un faro verso un atteggiamento che sta alla base di ogni ricerca della verità: dubito ergo sum.

I congressi in cui ci ritroviamo e dove dovremmo scambiarci sapere e conoscenza svelano tutta la fragilità di una comunità che non sa bene la direzione da prendere e come tracciare un trait d’union che permetta di parlare una sola lingua, almeno quando ci si deve confrontare con il mondo accademico. Manca la collegialità e la disposizione d’animo a mettersi in discussione, ogni scuola vede con diffidenza i risultati e le ricerche condotte dalle altre scuole e dai diversi modi di intendere l’omeopatia. Eppure siamo tutti formati e plasmati a osservare ed esaltare la soggettività di ogni paziente e ad esplorare le sue motivazioni esistenziali. Ben vengano le critiche allora, rispetto all’importanza del lavoro che svolgiamo, devono rappresentare una conferma nella scelta che abbiamo fatto per noi stessi e per i nostri pazienti. Coltivare uno scetticismo costruttivo verso le critiche che provengono dalla medicina del protocollo non ci solleva dalla responsabilità di porci con maggiore autocritica e consapevolezza in direzione dei nostri errori. La storia della medicina ci indica che la conoscenza non può mai essere considerata definitiva e oggi osserviamo, nella cultura medica di questo tempo, come l’Evidence Based Medicine (EBM) cominci a palesare i suoi limiti.

Sbagliare fa parte dell’arte medica, come insegna Ippocrate, ma solo dagli errori si può tendere verso un orizzonte più luminoso e intriso di sapere e umanità.

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