Pronto soccorso in montagna

Storie di omeopatia quotidiana Guarigioni in breve raccontate dagli omeopati italiani (e non)

cura di:

Marco Colla
Medico Chirurgo – Omeopata BIELLA
Docente Scuola di Medicina Omeopatica Similia Similibus di Torino
studio@marcocolla.it

Monica Delucchi
Medico Chirurgo – Omeopata GENOVA/BRESCIA
Docente Scuola di Omeopatia Centro Studi La Ruota di Milano
monica.delucchi.csr@gmail.com

Pronto soccorso in montagna

Gustavo Dominici
Medico Chirurgo – Omeopata ROMA
gustavo.dominici@omeopatia-roma.it
www.omeopatia-roma.it

Frequento sistematicamente la montagna con escursioni anche impegnative. Porto sempre con me un pronto soccorso omeopatico che in numerose situazioni si è rivelato prezioso. All’interno dell’astuccio i medicinali che tutti conosciamo: Aconitum, Apis, Argentum nitricum, Arnica, Arsenicum album, Belladonna, Carbo vegetabilis, Coca, Cocculus, Gelsemium, Glonoinum, Hypericum, Lachesis, Ledum, Opium, Rhus toxicodendron, Ruta, Vipera. Tutti alla 30CH, potenza che trovo perfetta in casi simili. Di Arnica ho con me anche una 200CH.

Riporto due casi significativi.

 

Mal di montagna

L’intento era salire in cima al Monte Amaro, la cima più alta del massiccio della Majella (Abruzzo), 2.793 metri, dalla via più ripida e diretta chiamata Rava del Ferro. Nulla di impossibile, se non per il dislivello di 1.200 metri che si realizza in un breve lasso di tempo.

Vicini alla cima una donna del gruppo, circa 50 anni, inizia a sentirsi male.

È pallida, spaventata, ha nausea e conati di vomito, il polso è velocissimo ed ha un’estrema inquietudine fisica. Sembra un tipico mal di montagna.

Dal fondo dello zaino estraggo l’astuccio con i rimedi che porto sempre con me e pesco l’unica boccetta con contenuto liquido: Coca 30CH, ne verso 5 gocce sulla lingua della compagna di viaggio, che nel frattempo ha contaminato gli altri con la sua paura. Tempo cinque minuti e tutto torna normale, possiamo proseguire per la vetta oramai vicina.

In questi casi, risolti così velocemente, tutti sono portati a pensare che la situazione sarebbe comunque andata bene per conto suo: grave e formidabile errore.

 

Caduta e collasso

Il simpatico amico protagonista di questa storia è un soggetto molto volenteroso, ma non troppo attrezzato per escursioni impegnative. Quei 10 kg di troppo, una vita sedentaria e più dedita all’uso dell’intelletto che dell’apparato muscolare ne fanno un compagno di viaggio gradevole, ma fragile. Qualche sporadica uscita non può bastare per sostenere sforzi prolungati. E così ci si ferma di tanto in tanto ad aspettarlo, fino a che non compare, sbuffante, madido di sudore, con l’espressione di chi non sa spiegarsi perché sia lì.

Anche stavolta è andata così, fino ad arrivare al momento della sosta, in un luogo un po’ scosceso. Tanto è il desiderio di sedersi che, nell’evitare alcune pietre, scivola pesantemente, rotola qualche metro e batte la mano su una pietra tagliente. Un taglio profondo in prossimità del polso, senza fortunatamente lesione dei vasi venosi, un po’ di sangue che esce, forse la necessità di due punti di sutura, ma in fondo nulla di grave.

Già, ma la capacità individuale a reagire spesso è assai bassa, i più si spaventano a tal punto da generare una situazione più pericolosa del trauma in sé. Il ferito si sente male, impallidisce, sta per svenire, si sdraia. Il polso e velocissimo per poi diventare impercettibile. Risponde con un filo di voce alle mie domande: è in terapia antipertensiva e che non ha problemi di ischemia cardiaca. Aspettiamo dei minuti: prova a rialzarsi, ma ricade giù, più pesantemente di prima.

Al solito ricerco i granulini miracolosi: Aconitum napellus 30CH, 5 granuli sulla lingua.

Nei 4-5 minuti successivi sembra aggravare: aumenta il pallore ed il sudore. Poi il polso ricompare, molto veloce, inizia a riprendersi, si rialza e con cautela ricominciamo a camminare. Più tardi mi sorpassa pimpante. “Ma dove stai andando, stavi morendo!” “Non so cosa mi hai dato, ma il sentiero ora mi sembra tutto in discesa! Ne voglio ancora!”. Per il resto dell’escursione gli altri del gruppo si avvicinavano di continuo chiedendo cosa mai avessi dato e che comunque lo volevano anche loro. I tentativi di spiegare che non funziona così per tutti si sono rivelati totalmente inutili.

Dopo un trauma, una caduta, un incidente il rimedio migliore nella maggior parte dei casi non è Arnica montana, ma Aconitum napellus. Osservate la persona colpita: in genere è terrorizzata, spesso senza proporzione con l’entità del fatto. Recuperato lo shock, scomparsa la paura, il soggetto sente finalmente dolore nella parte colpita e spesso si sente tutto indolenzito, acciaccato ed è impacciato e cauto nei movimenti. Questo è il tempo di Arnica, ma non abbiate fretta a somministrarla, lasciate che Aconitum agisca e, magari, salvi la vita del malcapitato.

La stessa situazione la si ritrova nell’incipiente shock anafilattico, dopo ad esempio puntura di un insetto, con il malcapitato che inizia a gonfiarsi ed il terrore che cresce. Non sprecate tempo prezioso a somministrare Apis mellifica, piuttosto date Aconitum, ogni 30 minuti o anche meno. Può essere in gioco la vita del malcapitato, non buttate minuti preziosi.

Queste indicazioni sono il risultato di esperienze vissute e confermate più volte.

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