Uso di arnica montana nella gestione del dolore post-partum

Storie di omeopatia quotidiana Guarigioni in breve raccontate dagli omeopati italiani (e non)

cura di:

Marco Colla
Medico Chirurgo – Omeopata BIELLA
Docente Scuola di Medicina Omeopatica Similia Similibus di Torino
studio@marcocolla.it

Monica Delucchi
Medico Chirurgo – Omeopata GENOVA/BRESCIA
Docente Scuola di Omeopatia Centro Studi La Ruota di Milano
monica.delucchi.csr@gmail.com

Uso di arnica montana nella gestione del dolore post-partum

Nicoletta Biasuzzi

MMG e Omeopata in formazione

San Zenone degli Ezzelini (TV)  

Caso presentato al II Congresso IRMSO di Roma del novembre 2023

Questo caso clinico è stato preso in carico con una modalità figlia di questo tempo: la paziente, una donna di 40 anni, mi contatta attraverso una serie di messaggi WhatsApp, chiedendo il mio aiuto nella gestione del dolore post partum poiché vuole evitare il ricorso ai farmaci chimici; desidera, infatti, che la piccola neonata possa godere fin dai primi giorni di vita degli innumerevoli vantaggi della medicina omeopatica e vuole evitare che la piccola assuma altre sostanze attraverso il latte materno. Non è stato pertanto possibile raccogliere una anamnesi approfondita, né è stata possibile una valutazione miasmatica dei sintomi. La scelta del rimedio si è essenzialmente basata sulla Materia Medica e sulla conoscenza del genio del rimedio.

La decisione di esporre questo caso è stata dettata dal desiderio di descrivere una delle tante condizioni in cui si può trovare il medico omeopata: un paziente che chiede un aiuto tempestivo in una situazione in cui le condizioni per la presa in carico del caso sono quanto mai lontane da quanto studiato sui testi.

La paziente è alla seconda gravidanza. Questa gravidanza, voluta, arriva a meno di un anno dal ricovero del marito in seguito a una grave forma di COVID, che aveva richiesto anche l’intubazione per la ventilazione assistita. Sia la paziente che il marito hanno dovuto fare i conti con la scelta di non sottoporsi alla vaccinazione anti Sars-Cov-2.

La paziente, durante la gravidanza, per sottoporsi ai controlli ostetrici, si recava proprio nello stesso ospedale dove era stato ricoverato il marito, e per questo motivo ogni volta che andava a fare qualche visita non si sentiva serena come avrebbe dovuto: la gravidanza, infatti, stava procedendo senza particolari problematiche. Durante la visita ostetrica del terzo trimestre, però, alla futura mamma viene rilevato un aumento dei valori pressori sanguigni: il riscontro allarma il ginecologo che, vista la familiarità della donna per ipertensione e diabete, sottopone la paziente ad una serie di accertamenti cardiologici che per fortuna non confermano la diagnosi di malattia ipertensiva, ma pongono il sospetto di una forma ansiosa.

A circa 10 giorni dalla data prevista per il parto, la nascitura si presenta podalica: viene pertanto proposto un parto cesareo d’urgenza che la donna rifiuta, visto che non sono decorsi ancora i termini della gravidanza.

Questa nuova condizione spinge la futura mamma a rinunciare al desiderio di partorire a casa, dove si sarebbe sentita più accolta e protetta rispetto all’ambiente ospedaliero.

Nel frattempo la nascitura torna in posizione cefalica, salvo ripresentarsi podalica allo scadere delle 42 settimane di gestazione. La paziente viene ricoverata, viene eseguita la manovra ostetrica per indurre la presentazione cefalica della nascitura e il parto viene indotto con ossitocina.

Vengo quindi contattata tramite messaggio telefonico una mattina, poche ore dopo la conclusione del parto: la neo mamma è stanca e provata, prova dolore da contrazioni al basso ventre, oltre a dolore allo stomaco e alle anche; fa fatica a restare a letto per i dolori diffusi e cammina a fatica dovendo restare piegata col busto.

«Il parto è stato tosto, perché indotto e veloce; ho perso circa 600 ml di sangue durante l’espulsione, ora il sanguinamento è regolare e contenuto, ho qualche difficoltà a respirare quando mi alzo in piedi, sento un peso allo stomaco e dolore ai reni, le anche fanno male e anche il coccige».

Mi esprime il desiderio di non assumere i farmaci antalgici proposti in reparto, ha rifiutato anche la somministrazione di eparina. Oltre al fatto che il letto le risulta scomodo, cerca di camminare per favorire la circolazione venosa agli arti inferiori.

Ha con sé Arnica 30 CH, che ritengo appropriata per le seguenti considerazioni:

il sintomo fisico “il letto risulta scomodo”;

il dolore al basso ventre dovuto alle contrazioni post partum e al trauma da parto;

l’emorragia abbastanza copiosa nella fase espulsiva del parto.

Non ho modo di approfondire ulteriormente i sintomi: la signora è ricoverata in ospedale, l’uso del telefono cellulare è limitato. Inizio pertanto a somministrare Arnica alla 30 CH, 2 granuli a secco, poi 4 granuli sciolti in 150 cc di acqua con metodo plus: un sorso ogni 4 ore dopo 7-8 succussioni. La paziente sa che le assunzioni possono essere ravvicinate se il dolore viene controllato dal rimedio per meno di 4 ore o possono essere più dilazionate nel tempo se l’effetto del rimedio fosse più prolungato.

Non vengo contattata fino all’indomani mattina, quando la signora mi scrive che l’assunzione di Arnica in 24 ore ha migliorato la sintomatologia algica e le ha permesso di camminare più agevolmente. Il giorno dopo ancora, cioè in seconda giornata, mi scrive: «Arnica agisce sul dolore ma l’effetto è molto fugace».

Decido di passare ad Arnica 200 CH in tubo dose, che arriverà in farmacia il giorno successivo, una volta tornata a casa: somministro 2 globuli a secco e poi faccio preparare una nuova soluzione con 4 globuli in 150 cc di acqua, un cucchiaino ogni 4 ore.

In quarta giornata ricevo un messaggio vocale: «mi sento come se il mio corpo fosse chimicamente scombussolato, come mi era successo nelle ultime due settimane di gravidanza avverto dei crampetti ai polpacci, ma sento che il mio corpo ha degli spasmi legati al dolore». Con la voce rotta dal pianto continua a parlare e mi racconta che «il parto è stato molto doloroso e per me è stato molto traumatico proprio perché avevo tanti spasmi e non riuscivo a gestire il mio corpo; ho avuto paura di farmi male e di fare male alla bimba in fase espulsiva perché non ero più presente e cosciente a me stessa, c’era troppa ossitocina in circolo, avevo provato a chiedere all’ostetrica di sospendere o almeno ridurre l’infusione perché non riuscivo a gestire le contrazioni, ma mi è stato risposto che andava bene così».

La paziente ha la sensazione che “le cose non siano al posto giusto” e fa ancora fatica a camminare perché si affatica con facilità. Le dico di continuare con Arnica 200 CH in plus: confermo sia il rimedio sia la potenza, a fronte dei sintomi mentali riferiti nel suo messaggio vocale, cioè il parto vissuto come evento traumatico, la sensazione di fragilità e il sintomo mentale “paura di essere ferito”, tipico di Arnica.

Il giorno dopo i dolori uterini sono notevolmente migliorati, quindi prosegue con Arnica dilazionando le assunzioni, fino ad assumerla una sola volta, perché avvertiva “qualche fastidio tipo contrazione” durante la poppata. Propongo quindi la sospensione del rimedio, poiché la bimba inizia a mostrare segni di irrequietezza forse legati alle frequenti coliche addominali, nel dubbio che stia sviluppando la patogenesi di Arnica. Da allora la paziente non ha più avuto necessità del rimedio e sta bene, fisicamente e psicologicamente, e sta bene anche la sua bimba.

Sicuramente in questo caso clinico i sintomi da repertorizzare erano ben poco modalizzati, pertanto mi sono dovuta affidare quasi completamente alla Materia Medica. Mi sono chiesta più volte se abbia agito in modo corretto o se, nel dubbio, fosse meglio adottare la pratica del “non fare nulla se non sai cosa fare”. Sicuramente non si curano i pazienti per messaggio, ma avevo di fronte una persona in difficoltà che chiedeva aiuto e ho deciso di provare a percorrere la strada dell’omeopatia come potevo, perché non fare nulla avrebbe significato, almeno per me, lasciare sola una paziente nel bisogno e in un momento delicato della sua vita.

Arnica nel post partum si è rivelata utile, e in tempi molto brevi, sia nella gestione del dolore fisico, sia nella gestione delle conseguenze psicologiche del parto con una risposta tempestiva, efficace e appropriata alle esigenze di una paziente che desiderava preservare la propria bimba e sé stessa dagli effetti avversi della terapia farmacologica allopatica.

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